Oggi è sempre più difficile esercitare la professione dell’architetto a Roma e in provincia, l’aspetto più delicato è il passaggio dall’idea, che si trasforma in un progetto, alla realizzazione dello stesso, che sia un’edifico o un brano della città. I liberi professionisti spendono la maggior parte del loro tempo lavorativo nella burocrazia delle procedure, aggravata pesantemente dal Covid, e nella interpretazione delle norme e dei regolamenti vigenti, fino alla compilazione della semplice modulistica diventata pari ad un trattato internazionale.
La progettazione diventa l’ultimo dei problemi a cui si dedica la minor parte del tempo impiegato per un lavoro, con effetti evidenti nella gestione del territorio e nella trasformazione delle città.
A ciò si aggiunge una economia di settore in crisi e una committenza pubblica e privata priva di una visione a lungo termine e disinteressata alla qualità, incagliata in un groviglio inestricabile tra leggi, norme e regolamenti che i diversi apparati burocratici dovrebbero applicare. Ci sono conferenze di servizi con la partecipazione di più di trenta Enti, ognuno dei quali si esprime in base al proprio strumento e/o regolamento e modus operandi, tra l’altro con sovrapposizioni e conflitti di competenze, in cui la sintesi dei diversi pareri e delle relative prescrizioni, anche se tutti positivi, rende di fatto irrealizzabile l’intervento. Per non parlare delle tempistiche con pareri spesso arrivati mesi e mesi dopo la chiusura della conferenza dei servizi nei termini di legge.
Tutto ciò si ripercuote sia sulla pianificazione urbanistica sia sulla progettazione architettonica, con il risultato di un territorio immobilizzato sia in termini di sviluppo che di salvaguardia stessa.
La sovrapposizione dei Piani di coordinamento, Piani urbanistici generali, Piani attuativi e Piani di settore, ognuno con le proprie norme, regolarmente in contrasto tra loro, sembra quasi una volontà per condannare la città di Roma ad un inevitabile declino in confronto a molte altre realtà italiane ed europee.
Se proviamo ad elencare i diversi strumenti in essere ad oggi, tenendo presente che anche quegli strumenti sovraordinati che dovrebbero essere di solo coordinamento o di tutela, sono diventati nel frattempo veri e propri strumenti di pianificazione con indici edificatori e categorie di intervento edilizie rese prescrittive: Piano Territoriale Regionale Generale, Piani Territoriali Provinciali Generali, Piano Territoriale Paesistico, Piano Territoriale Paesistico Regionale, Piani Regolatori Generali, Piani Urbanistici Comunali Generali, Piani del Commercio, Piani di Lottizzazione, Piani Particolareggiati, Piani di Insediamento Produttivo, Piani di Recupero, Piani di Zona, Programmi Integrati di Intervento, Programmi di Recupero Urbano, Patti Territoriali, PRUSST, Piano Autorità di Bacino, Piani di Assetto dei Parchi, Piani della mobilita, a cui vanno aggiunti qualche decina di leggi regionali sul governo del territorio che devono essere applicate e verificate anche in rapporto alla legislazione nazionale, essendo l’urbanistica materia concorrente.
Se consideriamo che la strumentazione urbanistica è interpretata, dagli enti preposti, sempre nel modo più vincolante, in modo da far valere il proprio diritto di veto su qualunque iniziativa di trasformazione e sviluppo e aggiungiamo infine gli estemporanei vincoli imposti dal Ministero dei Beni Culturali, (che a volte riguardano e tutelano intere vaste aree che comprendono anche discariche, borgate abusive, ambiti di città consolidata), appare evidente che l’architetto progettista è veramente disarmato anche solo al pensiero di immaginare uno sviluppo del territorio in termini qualitativi e in tempi realistici.
Pertanto, le azioni da intraprendere nei confronti delle varie amministrazioni sicuramente devono essere volte alla semplificazione del quadro normativo e regolamentare in modo da garantire regole e tempi certi nelle procedure con l’obiettivo di liberare gli architetti nell’esercizio del proprio lavoro e di garantire agli investitori, anche stranieri, l’effettiva realizzabilità degli interventi prefissati e la certezza delle tempistiche che sono fondamentali.
Esistono già normative regionali volte alla semplificazione delle procedure, che vanno rese efficaci nei vari Comuni attraverso un lavoro di coordinamento, sarà altresì necessario spingere le amministrazione comunali ad una revisione delle Norme Tecniche di Attuazione e dei Regolamenti Edilizi verso una semplificazione e chiarezza dei dispositivi, e in particolare per Roma, va svolta un’azione di sollecito nei confronti dei diversi uffici tecnici municipali e dipartimentali affinché ci siano interpretazioni, dei regolamenti e delle norme, univoci e riferiti alle specifiche competenze, nel rispetto delle tempistiche previste dalla legge.
Numerose sono poi le pratiche nazionali e internazionali contemporanee di urbanistica complementare: regolamenti/procedure leggeri, paralleli all’urbanistica ordinaria, capaci di ampliare il ventaglio degli strumenti d’azione sulla città e utili attuare trasformazioni urbane che necessitano di tempi brevi e di risposte efficaci. La stessa pandemia ha posto la necessità di strumenti nuovi e responsivi. Affrontare questi temi, all’interno tavoli di lavoro con l’amministrazione e attraverso la promozione culturale degli interventi contemporanei di questo tipo, agevolerebbe il lavoro dell’architetto nei processi di rigenerazione e permetterebbe il proliferare di sperimentazioni urbane.
L’imminente arrivo dei fondi europei del PNRR è l’ultima occasione per liberare Roma e la Provincia dal degrado e dalla paralisi che sta uccidendo questo territorio, e per ritornare ad essere un modello di sviluppo, consapevole e sostenibile, in Italia e in Europa.